Cirkoloco in analisi

In psicologia analitica, ma non solo, si usa ricorrere alla metafora dell’isola per dare l’idea del rapporto tra la coscienza e l’inconscio. Un’isola è una porzione di terraferma circondata dal mare, contenitore di segreti di cui anch’essa un tempo era parte. Sotto quel livello tutto è avvolto dal mistero e l’uomo, da quando è uscito dal mare, ha sempre sentito un richiamo per le sue rotte e per le sue creature.

Anche nel ventre delle nostre madri abbiamo probabilmente rivissuto questo viaggio fino a che, approdati sulla terraferma, abbiamo combattuto per arrivare a dire, per la prima volta, “Io”.

Non sempre però questa lotta per l’affermazione segue una via lineare e quasi mai giunge ad un compimento, lasciando il confine tra la coscienza e l’inconscio molto labile, in un’inesorabile alternanza tra alta e bassa marea.

Così in molti disturbi mentali, e soprattutto in quelli definiti psicotici, l’Io non è sufficientemente emerso e strutturato e può cedere alle pressioni interiori, subendo un allagamento di contenuti inconsci. La persona allora si trova mossa nella veglia da contenuti che sembrano attinenti al mondo dei sogni, apparentemente privi di una logica razionale. Per questo in molti casi è importante e terapeutico cercare di costruire un argine solido, che permetta di difendersi dall’esondare dei contenuti irrazionali, simbolici e fantasmatici.

Il progetto Cirkoloco ripropone questa lotta per l’affermazione, scalpita e si affanna per capire chi è veramente e farlo capire agli altri, portando con sé persone che condividono lo stesso destino.

Proprio come un bambino, passa da momenti di entusiasmo ed onnipotenza a momenti di profonda frustrazione e scoramento. Momenti carichi di “siamo tutti uguali”, “la malattia mentale non esiste”, “cambieremo il mondo”. E poi momenti di chiusura, ritiro, abbandono, in cui l’idea di non aver vinto subito e facilmente significa aver perso per sempre.

Ma diventare grandi forse significa proprio questo, trovare una terza via tra la vittoria e la sconfitta, delimitare un terreno in cui ci si possa sentire al sicuro e dove possano accadere entrambe. Sapere dove finisce la terra e comincia il mare ci permette di costruire una casa che ci accolga, ci protegga e ci dia un senso.

Così adesso il Cirkoloco approda in un’isola più grande, l’Exfila, perché forse lui stesso ha maggior coscienza di sé e la terra emersa è maggiore.

Annoso dilemma: possiamo dire che chi ci lavora ha problemi di salute mentale e sta cercando, insieme a tutto il Cirkoloco, di individuare il proprio confine? È la strumentalizzazione della sofferenza di qualcuno per qualche secondo fine o è la ricerca di una consapevolezza che non faccia più paura? Difficile da dire con certezza, però forse fingere che siamo tutti uguali, o normali, ci rispedisce sott’acqua, in apnea, dove tutto è sfuocato.

Ma questo è il cammino di tutta la banda in marcia (nessuno escluso), e spesso, chiedendomi il motivo di tutto questo impegno, non riesco a cedere alle lusinghe del bene dell’umanità. Sono sempre più convinto che si capisca a posteriori quanto di autobiografico ci sia nelle scelte che facciamo e che questo percorso sia una necessità, risponda al bisogno di ripercorrere alcune tappe, nella presa di coscienza di quanto sia difficile diventare grandi, mettere da parte il puer aeternum e capire che la vita ha delle fasi che non si possono ignorare, tuffandosi negli abissi.

3mc1_331ACirkoloco in analisi